Usanze e tradizioni popolari

Nel campo religioso, la vigilia dell’Ascensione, una processione partiva da Pontebba diretta a Pontafel, un’altra partiva da Pontafel diretta a Pontebba. Sul ponte i due cortei si fermavano, i due “Cristi” alla testa dei rispettivi cortei, si distaccavano e al centro del ponte-confine avveniva il “Bacio delle Croci”, poi i due cortei proseguivano verso la chiesa di Pontafel per la celebrazione della Messa, poi si rinnovava il bacio delle croci. Particolare curioso: il Cristo di Pontafel non guardava avanti nella processione, ma era rivolto verso il Clero e i fedeli che lo seguivano. Purtroppo questa suggestiva usanza religiosa, da tempo non è più riproposta.
A completamento di queste usanze religiose, riportiamo le memorie di Karl Migglautsch, nativo di Pontafel, molto esplicativa del clima e delle tradizioni dell’epoca:… “Le Processioni (rogazioni) durante il mese di maggio gli abitanti di Pontafel si preparavano ad effettuare tre processioni. La prima partiva dalla chiesa di S. Giovanni Battista per passare attraverso Pontafel tedesca ed i prati di Rauts e Outscha fino al Rio degli Uccelli per incontrarsi con la processione degli abitanti di San Leopoldo che, a loro volta, erano diretti alla chiesa di Pontafel. Gli abitanti di Pontafel invece proseguivano oltre la Braida per raggiungere la parte nord del Paese sotto il Schinauz, passando per il ponte con il santo Nepomuk e la chiesa di S.Leopoldo dove veniva celebrata una S. Messa e, dopo breve sosta, per ritornare a Pontafel. Il giorno successivo la processione dei Pontafler era diretta verso ilWinkel superiore per una strada secondaria fino alla strada del Bombasch che porta alla valle del Gail ed alla chiesa di S. Antonio, dove veniva celebrata una S. Messa, ritornando poi alla chiesa Parrocchiale attraverso i prati alti di Lamprecht Bichl e la casa di Groeger. Il terzo giorno la processione si dirigeva verso Pontebba. Al confine di Stato e cioè sul ponte, si aspettava la processione degli italiani. A metà del ponte del confine si incontravano le due croci, che poi in segno di fratellanza e della pace si baciavano (questo gesto veniva eseguito dai portatori dei crocifissi con grande solennità soprattutto al momento in cui univano le teste delle sculture). Successivamente i Pontafler proseguivano verso la “Basilica” ? di S. Maria di Pontebba, dove veniva celebrata la S. Messa dal prete tedesco. La processione italiana faceva la stessa cosa, proseguendo verso la chiesa di Pontafel dove il prete pontebbano celebrava la S. Messa… Prosegue Migglautsch con un simpatico aneddoto:... “Questa ultima processione veniva chiamata dagli abitanti dei due paesi in senso beffardo, quale la processione dei contrabbandieri, in quanto i partecipanti non venivano mai controllati dai doganieri anche, se in queste occasioni si scambiavano regali con gli amici, come tabacco da naso, accendini, dolciumi soggetti al pagamenti di piccoli diritti doganali….”
Un’altra tradizione religiosa è la “Processione di Venerdì Santo”, un tempo particolarmente spettacolare con il paese di Pontebba illuminato a giorno, con negozi e finestre addobbate riccamente con tutti i prodotti in bell’evidenza, palloncini alla veneziana e luminarie completava il quadro, la banda musicale accompagnava la processione in testa un anziano che portava una pesante croce. Due giovani vestiti di tunica bianca proponevano, in piccolo, una scena della via crucis. Quest’ultima parte è stata poi abolita dal parroco don. Boria. Una gara, per fare il maggiore frastuono possibile, si svolgeva con l’ausilio di ogni forma e dimensione di “craciulis”, “bàtacul” e “cariolòn”, in chiesa e per le vie del paese, usanza che negli anni è quasi scomparsa, tranne qualche augurante “risveglio”.
Un altro corteo solenne, con la statua della Vergine Assunta, si rinnova ogni anno alla “Madone d’Avost”. La bella statua, posta su un artistico e splendido carro trainato da uomini con paludamenti religiosi, attraversa le vie del paese. Un tempo questa processione veniva anche chiamata dell’emigrante, poiché in tale giorno si usava festeggiare la nostra gente che lavorava all’estero. Il corteo con banda e prima gli uomini, rigorosamente separati dalle donne, spesso vestite completamente in nero, che chiudevano la numerosa colonna.

Rimanendo nel campo religioso, per sostenere economicamente il clero, esisteva l’usanza di contribuire con prodotti della terra (la “decima” o del “quartese”): formaggio, burro, patate, prodotti dell’orto, legna da brucio ecc., in particolare per chi svolgeva qualche attività agricola, specie nelle frazioni.
Fino a non molti anni fa nelle solennità liturgiche, al canto del “Credo”, i fedeli sfilavano davanti all’altare e, dopo aver dato “il bacio della pace” a un quadretto dorato e argentato che il celebrante puliva accuratamente dopo ogni bacio, deponeva un’offerta sull’altare.
Particolarmente seguite le usanze per ricordare degnamente i defunti e le “vilis” nei cimiteri e sfilando davanti al catafalco in chiesa, aspergondolo con l’acqua benedetta versando un obolo, quest’ultima usanza si perpetua, tranne l’obolo, molto seguite, in passato, le processioni e le liturgie per le “Rogazioni”.
Solo i più anziani si ricordano ancora della tradizione religiosa degli “Altarini” in occasione del Corpus Domini. Si predisponevano in punti precisati a Pontafel, ma molti di più a San Leopoldo, dove l’officiante e i fedeli si riunivano in preghiera.
Anche l’usanza della “Caçuele” è scomparsa, consisteva nel raccogliere offerte e ogni tipo di cibarie a favore del “muini”, il sagrestano, durante le preghiere dei morti nel camposanto e, con divagazioni interpretative, nelle vie e negozi del paese.
Altre belle usanze religiose, di minore importanza ma molto coinvolgenti, sono decadute: le bancarelle sul piazzale della chiesa con le leccornie (“colàz” ciambelle con il buco), in occasione delle cresime e delle prime comunioni.In occasione della più antica fiera del paese, la “Madonna di Settembre” dell’otto del mese, si svolgeva una processione in onore della Natività della Madonna, mentre il paese era invaso da centinaia di “stonç”, bancarelle con ogni tipo di mercerie, anche di animali vivi. Una “sagra” che ancora vive seppur in tono minore.
Molto sentite le ricorrenze religiose nelle frazioni: in Aupa la festa di S. Anna l’ultima domenica di luglio, a Studena Alta di S. Gabriele, a Studena Bassa di S. Giuseppe la seconda o terza domenica di luglio, la Madonna del Carmine a Pietratagliata e di S. Antonio Abate la domenica di Pentecoste, a S. Leopoldo si onora S. Geltrude il 17 marzo.
Tra le usanze “civili”, una molto affascinante ma purtroppo scomparsa, era quella che la notte di S. Pietro, le cosiddette “scaletis” anche “cidulis”, rotelle di legno preventivamente abbrustolite fatte vorticosamente roteare con una pertica infilata in un foro della rotella e lanciata in cielo lasciando dietro un’incandescente scia luminosa.
Un’altra usanza, che sopravive a stento, riguardava la multa che lo sposo “forestiero” doveva pagare per sposare la fidanzata “tirâ la cuarde”, poteva quindi tagliare il nastro o togliere la catena che l’impediva di coronare il suo sogno d’amore.
Simpaticamente ricordiamo anche le feste dei “Coscritti”, che si svolgevano ogni anno in occasione della leva. Le visite mediche per l’arruolamento si svolgevano nel Municipio, sede di Mandamento per tutti i paesi delle valli. I ragazzi di Studena Bassa, nei tempi andati ma non troppo, adottavano una “simpatica” usanza nei confronti dei giovanotti “foresti” che importunavano le loro ragazze, spesso, i malcapitati, finivano nel “làip” (abbeveratoio) in un bagno che mitigava i loro ardori giovanili.
Fortunatamente ancora viva l’usanza della “tae” a San Leopoldo e a Pontafel, si svolge solitamente nella penultima domenica di Carnevale, viene anche chiamata, essendo una tradizione di origine austriaca, del “cioch”, del “puch” o del “ploch”. Quando nel paese trascorreva un anno senza celebrare matrimoni, i giovani tagliavano un grosso tronco di conifere che, trasportato dai carri, oggi con il trattore, percorreva le vie del paese tra suoni, maschere e vestimenta bizzarre e tanta allegria, raccogliendo doni mangerecci.
Venduta la “tae”, il tronco, con il ricavato grande cena comune anche con la gente del posto.
Il giorno dell’Epifania, un vero e proprio trionfo di grida, visi anneriti, maschere, campanacci, la festa “Das li cjampanatis”, appesi al collo dei bambini che correvano tra le vie del paese.
Anche i giochi, quasi sempre puerili e infantili nella loro sostanza, con il tempo divennero delle vere e proprie tradizioni popolari, nel secondo dopoguerra scomparvero quasi totalmente.
Tiene ancora “duro” il “Spice cûi” oppure “Ponte-cûl”, esilarante e “gastronomico” gioco che giovani, ma non solo, fanno i giorni di Pasqua affrontandosi a una competizione di abilità, e fortuna: vince chi riesce con astuzia a rompere il guscio di uova sode colorate, che poi sono consumate in compagnia.
A San Leopoldo, nella Settimana Santa”, si prepara la scenografia del “Santo Sepolcro”, nella Chiesa di Santa Geltrude dove è allestito un sepolcro con soldati romani, luci e un bellissimo dipinto che attornia il Cristo morto. Altro gioco, oramai scomparso, che soprattutto si svolgeva a Studena Bassa, appena sparita la neve in occasione particolare della Festa di S. Giuseppe, chiamato, “ûv e palànche” anche “tirà aûf ”, o solo “palànche”, che consisteva nell’appoggiare un uovo sodo all’angolo di un muro, lo vinceva chi riusciva, da una calcolata distanza, a centrare l’uovo con il lancio di una moneta.
Le interminabili partite dei ragazzetti con le palline di terracotta, il “stick e smock” vere competizioni di abilità che consisteva nell’allineare a terra un numero variabile di palline, chi riusciva con il suo “smock” (pallina più consistente spesso di vetro) a colpire una pallina vinceva quelle disposte più a monte.
Chi non ricorda il “pìndul pandul”, con una certa abilità si doveva colpire con una mazza un piccolo pezzo di legno appuntito sui due lati e farlo proiettare più lontano possibile. Spesso i risultati erano “imprevisti”, con vetri rotti e ammaccature varie ai compagni di gioco.
Altro gioco infantile del dopoguerra: “palla prigioniera”, praticato anche da giovanotti e ragazzine, scusante sportiva per potersi incontrare, specie nella popolosa via Carducci, ora via Zardini. Due squadre schierate a una certa distanza e si lanciavano la palla, vinceva che riusciva a farla cadere a terra il meno possibile. Un gioco preferito, soprattutto dalle giovani aspiranti coppiette, del nascondino, ancora in auge ma dai giovanissimi, chiamato: “platâsci”, nascondersi. Gioco non particolarmente gradito da genitori e parenti considerando la severità e la stretta sorveglianza di quei tempi.
Fortunatamente un‘antica tradizione sta vivendo una nuova gioventù, i “Krampus” che a Pontebba assumono la particolare denominazione di “Spitz-Parkli”. Il 5 dicembre nel giorno di S. Nicolò, i “spitz-parkli” girano per il paese, con mostruose maschere, terrorizzando i bambini, mentre San Nicolò, un Santo con lunga barba bianca con il lungo bastone dei paramenti vescovili, assieme agli angeli, distribuisce dolciumi a tutti i bimbi.
Nell’Epifania arrivavano una volta da Chiusaforte i “Re Magi”, giravano per il paese, con la faccia dipinta e in costume, raccogliendo doni e girando una stella con appesi vari monili, cantavano un singolare canto religioso. Questa tradizione è stata, per qualche tempo, ripresa dai giovani pontebbani.
Il Carnevale, nel passato, era occasione per i numerosi “Veglioni”, ogni Associazione o Ente, organizzava delle splendide “serate danzanti”, ma anche per estemporanee sfilate di maschere carnevalesche che, in seguito, si trasformarono in vere e proprie sfilate di Carnevale, con carri allegorici e concorsi per i migliori carri e le maschere.
Nella Quaresima antiche usanze si caratterizzavano con il clima religioso del periodo: le ceneri, la distribuzione dell’ulivo, le solenni e suggestive Via Crucis, quella del venerdì Santo il mattino lungo la strada che porta alla chiesetta del Calvario.